Charlie Brown
"Solo gli imbecilli non hanno dubbi"
"Ne sei sicuro ?"
"Non ho alcun dubbio!"
(Luciano De Crescenzo)
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Quand'anche restassimo solo noi due, prometti che resti con me?
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5 agosto 1870. I rintocchi di un orologio a torre scandiscono il tempo che non passa mai all’interno delle mura di una vecchia dimora nei pressi di Napoli. È qui che, su un letto di candide lenzuola bianche, trascorre le sue giornate Donna Clotilde (Gea Martire), tra farmaci, orazioni, conversazioni con una lontana cugina Gesualda (alias Chiara Baffi), che le funge da infermiera, e le visite del parroco del paese Don Catellino (Fulvio Cauteruccio).
Clotilde è una baronessa borbonica che mostra insofferenza e sdegno nei confronti della nuova cultura e dell’assetto sociale che va configurandosi dopo l’unificazione del Regno d’Italia, tant’è che come segno di disprezzo è solita esprimersi perennemente in napoletano lasciando alla lingua italiana il tempo che trova. Ma di tempo ce n’è tanto. Forse anche troppo per una signora come lei che ha deciso di darsi e sentirsi malata (ma forse la sua è solo una patologia mentale, frutto della sua idiosincrasia nei confronti di Vittorio Emanuele II di Savoia). continua a leggere
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E guerra sia.
Perché è di guerra che si nutrono i corpi, le anime perdute, i pensieri, le azioni. Come ci si arriva ad odiarsi non è ancora dato saperlo, perché quasi sempre l’odio altro non è che il frutto di un grande amore.
Nella storia di Jonathan e Barbara Rose si assiste alla fine di questa grandezza, come scrive nelle note di regia Filippo Dini che cura e dirige il capolavoro di Warren Adler, divenuto nel 1989 un successo cinematografico, La guerra dei Roses, in scena in questi giorni al Teatro Eliseo.
Dini resta fedele alla pellicola, riservandosi piccole licenze registiche tese a sprigionare tutta la potenza emotiva racchiusa in questo testo. continua a leggere
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Una tavola imbandita per 27 persone accoglie gli spettatori per La Cena.
Vengono accompagnati e fatti accomodare tre per volta al tavolo da un maggiordomo che serve loro del vino. A capotavola è seduto un uomo (Andrea Tidona) – che nel prosieguo della serata si scoprirà essere il padrone di casa – il quale, dopo aver atteso che tutti i commensali hanno preso posto, principia a discettare con Fangio (il maggiordomo, alias Cristiano Marzio Penna). I rapporti tra i due sono molto tesi: poche parole, pochi gesti, pochi sguardi da parte di Fangio che si limita ad “assistere” quanto di lì a poco sta per accadere.
L’aria è greve, quasi imbarazzante. C’è soggezione da parte di Fangio e c’è soggezione negli spettatori/convitati. continua a leggere