Charlie Brown

"Solo gli imbecilli non hanno dubbi"
"Ne sei sicuro ?"
"Non ho alcun dubbio!"
(Luciano De Crescenzo)



Intervista a Alessandra Perotti

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Autrice : Carla Iannacone | Categoria : Interviste | Commenti pubblicati dagli utenti : 0 | Data pubblicazione : 31/03/25

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Una bella giornata


Autrice : Carla Iannacone | Categoria : Strisce | Commenti pubblicati dagli utenti : 0 | Data pubblicazione : 31/03/25

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Il mio modo di scherzare


"Il mio modo di scherzare è dire la verità.

È lo scherzo più divertente".

                               (Woody Allen)

Autrice : Carla Iannacone | Categoria : Aforismi | Commenti pubblicati dagli utenti : 0 | Data pubblicazione : 29/03/25

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Una gita al cimitero


Questo è un post diverso dagli altri.
Non ha niente a che fare con i libri, gli aforismi, le discussioni, le riflessioni. Ce l’ho voluto mettere perché tra pochi giorni sarà il compleanno di mio zio.
Si può scrivere compleanno se il festeggiato è morto? Il vocabolario Treccani ci fa sapere che la parola compleanno deriva dallo spagnolo cumpleaños, composto dal verbo cumplir che significa «compiere», e dalla parola año che significa «anno». Se devo attenermi al significato letterale del lemma mi viene di rispondere che l’uso impiegato del vocabolo è sbagliato. Mio zio è morto, il treno giunto al capolinea ha portato a compimento il suo viaggio al binario 82.

D’istinto però ho ricordato a me stessa “Il primo aprile è il compleanno di zia e zio, devo fare gli auguri a tutti e due”, poi il tonfo sul pavimento e il brusco risveglio appena toccato terra. “Ma zio non c’è più!”
Sono quelle partenze a cui non ti ci abitui mai, anche se è passato già un anno. Se proprio devo dirla tutta, l’incubo ebbe inizio il 29 marzo del 2024 ed ha segnato l’epilogo una maledetta mattina dei primi di giugno dello stesso anno.
Basta cupezza. Stop al dramma. È un episodio allegro che voglio raccontarvi (almeno lo ricordo come allegro per quanto l’atmosfera non fosse delle più rilassanti).
Era la festa di compleanno di mio cugino (siamo in vena di genetliaci oggi) e, all’epoca dei fatti in cui si svolge questo racconto, frequentavamo le scuole secondarie di primo grado. Non eravamo maggiorenni per cui, al termine dei festeggiamenti, veniva uno dei nostri genitori a prenderci oppure ci riaccompagnava a casa uno dei genitori del festeggiato.
Funzionava così. Ad ogni compleanno si andava a casa dell’amico o amica di turno, si faceva baldoria, si mangiava, si ballava, si chiacchierava (si distruggeva pure qualcosa presi dai ludi e dall’eccitazione della festa), si cantava tanti auguri a te e si spegnevano le candeline. Ci si ingozzava di torta alla panna o al cioccolato fino a star male (il giorno dopo qualcuno degli invitati stava male per via delle ingordigie), si ballava un altro po’ e fine dei giochi. Questo avveniva in quella fascia d’età che va dai 6/7 anni fino ai 10/12 anni. Poi si apriva un altro capitolo della vita, per alcuni più drammatico, per altri più galvanizzante (l’adolescenza, come accade ancora oggi, era il preludio di questa fase).
Restiamo nel campo de les enfants terribles che è quello che ci interessa.
Termina la festa di mio cugino, è ora che i “pulcini” facciano ritorno al loro nido. Tocca a mio zio riportarci a casa con la macchina. Anche questo momento era dei più divertenti, perché avevamo l’occasione di girovagare per il paese di sera e conoscere la vita notturna a noi ancora preclusa (litigavamo sempre in merito a chi doveva essere accompagnato per ultimo).
Avviene però che quella sera mio zio fa un giro particolare, e ci conduce (letteralmente) al cimitero. In auto eravamo sei/sette persone, escluso mio zio. Adesso, come si erano infilate sei/sette persone in una Renault 5 grigia anni ’80 non lo so (sempre a proposito di compleanni, successe una cosa del genere con il 126 di mia madre¹), rammento solo che la sottoscritta sedeva avanti sulle ginocchia del cugino e gli altri invitati sulla seduta dietro.
Il momento è comunque drammatico: non solo stiamo stipati come sardine in un barattolo sotto sale, ci mancava pure un bella gita al cimitero (alle nove e mezza e passa di sera).
L’horror sta per avere inizio e la tensione è palpabile (forse qualcuno, approfittando della ammucchiata là dietro, si era già portato avanti con le “palpatine”, ma andiamo avanti). Giunti sul posto, mio zio parcheggia la Renault all’ingresso del camposanto, nello spiazzo dove c’è il cancello. L’auto viene posteggiata col muso avanti e con il cofano posteriore INCOLLATO alla inferriata del cancello. Chiunque provi a girare poco poco il collo si trova davanti ad una vista mozzafiato (anche qui da intendersi nel senso letterale del termine). Il lungo corridoio delineato da alti fusti di cipressi piantati sul lato destro e sul lato sinistro del terreno è appena visibile con l’oscurità della notte, resa ancora più densa e cupa dalla vegetazione arborea e dalle siepi che circondano le tombe dei defunti.
Ma non basta. Volete mettere le numerose luci dei loculi che sembrano tante belle lucine di Natale ma che, invece di adornare e illuminare l’abete, rischiarano i volti dei morti che in quel momento, nun se sa come, se scorgono pure da lontano attraverso i vetri dei finestrini di un’auto e paiono farti innocentemente “ciao ciao” col sorriso scolpito nella foto delle lapidi?
Poi succede quello che nessuno di noi si aspetta.
Dopo aver arrestato la macchina, mio zio apre la portiera e scende. E si allontana sparendo dai nostri occhi.
Rimaniamo soli, nella notte, in una strada alla periferia del paese dove non passa mai nessuno (al massimo qualche vacca al pascolo e relativo pastore ma non prima delle sei di mattina), ammassati in una Renault 5 nello spiazzo del cimitero, in esclusiva compagnia dei morti.
Partono gli urli (a gridare in realtà è una sola ragazza che si lascia subito impressionare dal luogo e dall’atmosfera che si respira, ammesso che la parola “respiro” c’entri qualcosa coi cadaveri). Gli altri – i più sono ragazzi – cercano in tutti i modi di stemperare la tensione lanciandosi in un fitto chiacchiericcio per esorcizzare la paura che li sta divorando (ma che, di fronte agli occhi delle ragazze, cercano di mascherare). Matteo, che siede retro al centro, è l’unico che resta muto. Finge una calma, si nota lontano un miglio, che non ha.
«Matte’, che c’hai paura?» domanda mio cugino che, insieme a me, si è voltato a guardare i suoi amici. Io e lui siamo gli unici a trovare la situazione davvero divertente e a sbeffeggiare il resto del gruppo.
Matteo fa un breve cenno con la testa a significare che la circostanza lo lascia indifferente. È una statua di sale. A un certo punto mi assale il dubbio che un morto lo abbiamo anche noi in macchina mentre cerchiamo di far star buona Anna Lucia che nel frattempo, con gli strilli, i morti li ha svegliati tutti (l’hanno sentita pure quelli del cimitero di Cagnano Varano).
«Guarda che se continui a urlare vengono fuori e ti tirano per i capelli chiedendoti di smetterla perché gli disturbi il sonno» faccio io. Non si è rivelata una bella battuta perché ottengo l’effetto contrario.
«Ma tuo padre dove è andato?» chiede Davide.
«Boh!» risponde tranquillo mio cugino guardandosi intorno.
Matteo, intanto, è da seppellire. Lo osservo e non mi faccio capace che uno dei ragazzi tanto aitante e tanto ambito è un cagasotto (il fascino talvolta inganna). E in quegli istanti faccio una riflessione su quanto è stato rapido il passaggio dal pomiciare (in cui si era impegnati fino a qualche minuto fa) al diventare deboli e indifesi di fronte alla paura. Detto tra noi: questi potevano approfittare ora della situazione dato che zio se n’era andato, eravamo soli, e pure in mezzo alle fratte! Fratte del camposanto sì, ma pur sempre fratte erano. Quando te ricapitava più se non fra altri cinque/sei anni?
Passano quanto? Altri sette, dieci minuti di agitazione? Di zio neanche l’ombra (tutte le altre sì, c’era l’imbarazzo della scelta). Comincio a preoccuparmi, e non perché soffro di allucinazioni, provo spavento o altro – anche se la circostanza non è delle più rilassanti – ma perché inizio a pensare che forse gli è successo qualcosa che gli impedisca di fare ritorno e venire a prenderci. Per convincermi che le mie sono solo inutili fantasie guardo mio cugino: è sereno, conosce suo padre. Sa che non ci ha abbandonato. È uno dei suoi soliti scherzi.
Infatti fa ritorno dopo poco, e quando apre lo sportello della Renault lo vediamo che si sbellica dalle risate.
«Ve la siete fatta sotto, eh».
I pulcini sono salvi, i morti continuarono il loro sonno eterno un po’ più tranquilli, gli ormoni invece l’indomani si ridestarono e si misero a lavoro come se la notte precedente non fosse successo nulla.
Fine della storia.








¹ In occasione di un mio compleanno, allora ad accompagnare le mie amiche fu mia madre. Premetto che l’auto di famiglia era – ed è ancora – un maggiolino Fiat 126 di colore blu. Succede che nel momento di riportarle a casa, anche in quel caso ammassate come scrofe in un porcile (peraltro in un veicolo di misure più ridotte rispetto ad una Renault) e sempre verso le nove di sera, incrociamo una autopattuglia dei carabinieri che inizia a seguirci. Considerato che non è proprio legale viaggiare in macchina con un numero considerevole di gente a bordo, mia madre, presa dal panico che possano arrestarla, sequestrarle il veicolo o elevarle la contravvenzione, si mette a fare lo slalom per le vie del paese nel tentativo di seminarli. Immaginate cosa possono aver pensato gli ufficiali in divisa nel vedere che c’era una donna al volante di un 126 carico de ragazzine... di sera, che cammina a passo spedito, e che se mette a core come ‘na matta appena li avvista allo scopo di far perdere le sue tracce e a farli desistere dall’inseguimento (che non avvenne). Una tizia assoldata da una banda di pedofili con la “merce” fresca da consegnare ai suoi capi. «Signora, che aveva intenzione di fare?» le domanda uno dei due ufficiali dell’arma quando capisce che è il caso di fermarsi e abbassa il finestrino del 126. «Guardi, lei mi deve scusare… stavo solo riaccompagnando le amiche di mia figlia a casa. Abbiamo appena finito di festeggiare il suo compleanno. Lo so, ho fatto una cosa che non dovevo fare, ma siccome non potevo lasciarle da sole mentre aspettavano che finissi il giro per accompagnare ognuna di loro, le ho fatte salire tutte quante in macchina… ma andavo piano, lo giuro» fu la risposta di mia madre che, dopo i dovuti controlli effettuati dai carabinieri, rassicurati dal brio che disegnava larghi e spensierati sorrisi sulle nostre facce di bimbe, fu “rilasciata” senza conseguenze a scorrazzare come una criminale per le strade del paese.

Autrice : Carla Iannacone | Categoria : Pensieri | Commenti pubblicati dagli utenti : 0 | Data pubblicazione : 29/03/25

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I am immortal¹


Lo scrittore è un animale che tante volte è puro ma in qualche modo vuole la fama, costantemente, per quanto micidiale essa possa essere, perché anche gli scrittori sono contagiati dal virus dell’eternità. Amano le parole e vogliono produrre opere per cui ciò che è oscuro venga alla luce, ma vogliono anche che quelle parole durino per sempre. E così, tristemente, lo scrittore è quell’animale che confonde la fama con l’amore.

La massima che precede – tratta dal romanzo Il futuro futuro di Adam Thirlwell – ha destato nella sottoscritta una vecchia reminiscenza, solleticata da un’altra massima letta in un altro libro, che aveva come tema l’eternità.

L’apoftegma recitava così.

“Ci sono tre modi per ottenere l’immortalità: piantare un albero, fare un figlio, scrivere un libro”. Sono le tre possibilità messe a disposizione di un individuo per lasciare una traccia di sé nel mondo.

Non so quante sono (se ci sono) le persone che si assumono l’impegno di piantare un albero, prendersene cura e vederlo crescere. Non mi va neanche di approfondire la questione perché trovo che questi precetti recano con sé qualcosa di tragico nel profondo della loro essenza.

L’unica riflessione che mi sento di fare è che tra le tre opzioni sopra prospettate quelle verso cui la gente è più attratta sono le ultime due. Con esiti disastrosi, permettetemi di aggiungere.

Procreare è biologicamente naturale, non so dire neanche se è una scelta o no. Qualsiasi essere ha il potere di generare una vita, sia che sia voluta sia che non sia voluta, a meno che non si soffra di qualche forma di sterilità o altra patologia che ne ostacoli la riproduzione. Lasciamo perdere la seconda alternativa e concentriamoci sulla prima.

Chi sceglie di generare una vita lo fa per amore (si spera). Nell’istante in cui il seme si innesta per far germogliare il frutto del sentimento che unisce due esseri, questo frutto recherà per sempre con sé una parte dell’uno e dell’altra ereditandone capricci, difetti, pregi, vizi o deformazioni che, in un altro corpo diverso dal feto, hanno determinato il carattere e l’identità di un individuo. Magari uno, preso dalla passione che sta vivendo in quel momento, non pensa neanche che nell’atto di moltiplicarsi sta in realtà plasmando la propria immortalità – un po’ come faceva Voldemort, il mago cattivo della saga di Harry Potter che divise la propria anima depositandola in sette horcrux per assicurarsi la vita eterna – o forse sì, ragion per cui si figlia non più per amore ma per “cristallizzarsi” in un altro essere umano (amore o egoismo, dunque?).

La cosa che più temiamo è quella di venire dimenticati. Per non aver vissuto invano, per dare eco del nostro passaggio nel mare magnum dell’esistenza, dobbiamo dire o fare qualcosa perché gli altri si ricordino di noi. Non basta diventare miliardari, il denaro conta ma non è sufficiente. Il denaro non dà l’Eternità.

Il detto “i soldi non fanno felicità” è veritiero. C’è tanta gente che naviga nell’oro, non tutti ma la metà di essa è depressa o insoddisfatta. Si illudono di avere tutto, ma non hanno nulla. Loro questo lo sanno, ma non sono in grado di ammetterlo con se stessi. Credono di averla vinta sul tempo e sui loro limiti con la chirurgia estetica, ma anche questa è un’illusione.

Si attraversa la vita come si attraversa una strada o un incrocio. E sono le scelte a determinarti, aggiungerete voi. Beh, forse avete ragione. O forse no. Chi può dirlo? Per chi crede nel destino le scelte non servono perché il libro è già bello scritto, pubblicato, editato e impacchettato. Diversamente, le scelte contano eccome.

Se è tutto un attraversare sono io (individuo) a decidere quale percorso seguire. Se decido di percorrere un itinerario, quel tipo di tragitto avrà una sua mappatura con i suoi incroci e le sue strade; al contrario, se decido di dirigermi verso tutt’altra direzione su quel cammino sorgeranno altri vicoli e intersezioni. Così se scelgo un terzo percorso, un quarto e così via. Il problema resta sempre lo stesso: non posso attraversare solo perché bisogna attraversare, ma devo lasciare le mie impronta.

Nel nostro quotidiano, modesto parere di chi scrive, di orme ce ne sono fin troppe.

Non serve più piantare alberi o fare figli (questi ultimi sono diventati pure una seccatura, oltre che un grosso onere economico). Basta scrivere, e non necessariamente libri.

Guardatevi intorno: quante persone conoscete che scrivono? Anche baggianate, ma scrivono? La vita vera non è più uscire di casa per lavorare, fare la spesa, mangiare una pizza, andare in palestra, fare una chiacchierata al parco, passeggiare all’ara aperta, imboscarsi… (pure imboscarsi sì, che c’è di male? Pure dasse un appuntamento in un tugurio di ostello, vedesse dietro a una quercia o per cinque minuti alla stazione pe’ ‘n saluto veloce o un bacetto).

Ora, dico io, perché tutta ‘sta necessità di pubblicare un libro? Perché sprecare carta, abbattere gli alberi (magari state ammazzando un vostro antenato piantato mille e mille anni fa e manco lo sapete), inquinare il pianeta (chissà per quanto tempo ancora dobbiamo campare…ah già, a voi non interessa l’argomento…voi andate in cerca dell’immortalità!), insomma… perché dobbiamo darci fastidio più di quanto non lo stiamo già facendo sugli smartphone, sui tablet e sui pc? Basta dar voce alle proprie esigenze e insoddisfazioni con lo strumento che ci è stato concesso per conseguire il nostro scopo: i social.


Ma non è la stessa cosa di un libro…! che differenza c’è? Un oggetto dà più successo di un mezzo che ti mette a disposizione pure la scorciatoia per arrivare prima alla vetta? Ok, coi libri vai in televisione, alla radio, puoi rilasciare tantissime interviste e magari immillare il numero dei like sul tuo profilo social… insomma raggiungi il tanto agognato successo! Finalmente c’è gente che parla di te, che si accorge di te, sa che esisti, che sei bravo, sei ballo, hai talento, qualità… sei immortale. Ma siamo sicuri?

Non sono a conoscenza del momento storico in cui quella chiosa fu vergata su carta, non sono neanche sicura se la massima è dell’autore che avevo letto anni fa, o se sono io ad attribuirgliene la paternità (se così fosse, sarebbe la primissima volta che mi trovo a dover dissentire con lui) pur appartenendo ad un altro autore; quel che è assodato è che oggi l’apoftegma è anacronistico.

Oggi tutti scrivono, ognuno di noi lascia una traccia di sé. Ai tempi del mio autore si scriveva sul diario segreto, su pezzi di carta di un block notes nascosti nel cassetto di un comodino (magari infrattati tra le mutande multicolor, di pizzo o della nonna non ha importanza tanto nessuno ci andava a ravanare là dentro), nei libri di scuola, in fondo allo zaino o nella roba conservata negli scatoloni su in soffitta… l’alea di finire nel dimenticatoio era molto concreta.

Pure oggi si finisce nel dimenticatoio, se non ti dai da fare e non fai qualcosa per farti notare. Ecco perché stiamo lì a sgomitare nei post, nei commenti, nelle “opinioni”, nei reels (ma che so’? Come si usano?); siamo come dei caproni impazziti, sembra non ci sia abbastanza spazio per tutti e dobbiamo lottare per conservare il nostro posto e, se possibile, usurpare pure quello dell’altro fino ad annientarlo.

Siamo l’uno l’invasore dell’altro… Combattiamo per conquistare confini (consensi, like, cuoricini di Coma_Cose), per “allargarci”; più ci si espande più si acquista potere, fama, nome, prestigio. I posteri si ricorderanno di tutta questa grandezza, diverrò Immortale. A quale prezzo?

(Ma nu ve basta ‘o schifo che fate, c’avete bisogno de replicarlo ‘sto schifo e portasselo avanti nei secoli?)

Poc’anzi accennavo ai risultati disastrosi di questi metodi per diventare immortali.

Per quanto concerne la prima opzione (fare figli), in tutta sincerità, mi sento di ringraziarvi per il contributo che date affinché la curva demografica delle nascite si assesti sulle percentuali basse delle statistiche. Grazie anche al Governo² che con le sue politiche ci assicura che questo status quo perduri nel tempo (che guaiacchione!³ direbbe la mia cara prof di filosofia, mamma mia e com stam nguaiat!³).

Scherzi a parte, mettere al mondo un bambino solo per “fare famiglia”, o perché “lo fanno tutti”, o “Ieri vi siete sposati? Ma dai… non lo sapevamo…e quando lo fate un figlio?”, oppure perché “è stato un incidente di percorso”, “lo volevo e ora non lo voglio più”, “Ma quando c**** si fanno grandi e se ne vanno af******* da questa casa?” e poi mancare di occuparsene, ed essere dei genitori fantasma non va bene. Se la ragione che vi spinge a farlo non ha nulla a che vedere con l’amore, lasciate perdere. Farete del bene a voi, ma soprattutto al potenziale nascituro risparmiandogli un sacco di sofferenze e traumi.

Per quanto concerne la seconda opzione (scrivere un libro/scrivere) …

Lasciate perdere pure questa strada. Non avete idea dei guai che combinate, travolgendo persone che non c’entrano niente coi vostri casini e che non vi hanno fatto nulla di male. Abbiate pietà, ve ne supplico.

Le parole possono salvare, ma il più delle volte uccidono.





¹ Nei criminali è annoverata anche la sottoscritta.

² È ironia, non ci avrete mica creduto?

³ “Che guaio grande!”. “Mamma mia, come stiamo messi male a guai!”

Autrice : Carla Iannacone | Categoria : Riflessioni | Commenti pubblicati dagli utenti : 0 | Data pubblicazione : 27/03/25

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Tra i morti


"Stare tutto il giorno in mezzo ai morti è un buon modo per capire cosa conta davvero".

 (Sandrone Dazieri, Uccidi i ricchi Rizzoli Editore 2025)

Autrice : Carla Iannacone | Categoria : Aforismi | Commenti pubblicati dagli utenti : 0 | Data pubblicazione : 27/03/25

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