Charlie Brown
"Solo gli imbecilli non hanno dubbi"
"Ne sei sicuro ?"
"Non ho alcun dubbio!"
(Luciano De Crescenzo)
Ci sono dizionari e dizionari, e ci sono dizionari e vocabolari. I primi rispetto ai secondi, oltre a spiegare il significato della parola, indicano anche la dizione corretta. E poi ci sono altri tipi di dizionari, e cioè quelli che prendono le parole che sono più usate nel gergo comune e ne spiegano l’origine, le ragioni sottese all’origine, il significato antropologico, filologico, storico e politico come il saggio di Luciano Canfora, Dizionario politico minimo (Fazi Editore, pp. 228).
Perché usate? Lo dice il verbo stesso, perché le parole, soprattutto nel linguaggio politico e giornalistico, sono adoperate male. Un paradosso se si pensa che è proprio in quei contesti dove il linguaggio deve essere chiaro, semplice e di facile comprensione, perché mai come nella politica, nelle radio, nei giornali, nella televisione, la parola deve essere lo strumento efficace e diretto della comunicazione. Ma anche corretto.
Ed è qui che entra in gioco un dizionario che raccoglie i termini più usati (e abusati). “Antifascismo”, “Costituzione”, “Democrazia”, “Dittatura”, “Elezioni”,“Lavoro”, “Occidente”, “Populismo”, “Propaganda”, “Unione Europea” sono solo alcune delle cinquanta voci che compongono il Dizionario politico minimo di Luciano Canfora.
Il testo si presenta sotto forma di intervista in cui il grande storico e filologo viene intervistato da Antonio Di Siena, saggista ed economista, su quelli che sono i temi centrali e cruciali del mondo contemporaneo, per meglio comprendere e approfondire le principali questioni sociopolitiche. Attraverso una ricostruzione storica e un’analisi complessiva degli aspetti psicologici, filosofici, delle strategie economiche e politiche messe in atto da Hitler, ma già in voga ai tempi di Karl Marx e durante gli anni antecedenti il Novecento, Canfora ci consegna un testo dove ogni parola è intrisa del suo vero significato perché coniata e nata attraverso la storia. Non si può parlare di democrazia senza tener conto che nell’antichità riguardava solo una minoranza di cittadini liberi e che poi, a sua volta, all’interno di questa minoranza c’era una minoranza politicizzata che faceva funzionare la democrazia. Il termine è greco, è vero è una parola molto antica (composta da démos “popolo”, e krátos “potere”) ma non esiste il suo equivalente in latino perché, come spiega Canfora «non esiste la cosa. La Repubblica romana – con i suoi sviluppi nel Principato – ha un fondamento niente affatto democratico. Al suo posto c’è un sistema aristocratico ben strutturato, grazie al quale i ceti dominanti vincono sempre le elezioni. […] La parola democrazia comincia ad avere una faticosa diffusione nel XIX secolo, quando il problema è l’allargamento del diritto di cittadinanza, del suffragio. Persino nel Manifesto di Marx si dice che la prima cosa da fare è la conquista della democrazia. La parola tedesca utilizzata Erkämpfung può significare varie cose: conquista a mano armata, conquista con la forza, conquista dopo una dura lotta politica contro chi vi si oppone. Ma resta una parola di “combattimento” perché contiene il termine Kampf che vuol dire “battaglia”».
Stesso discorso vale per la parola guerra e pace (no, non stiamo parlando del romanzo di Tolstoj). La guerra, come intuì il filosofo romano Tito Lucrezio Caro nel suo De rerum natura, nasce dopo la scoperta della proprietà privata, la cui difesa è una delle cause fondamentali e principali dei conflitti (di qui ne discende la triste considerazione che la guerra è connaturata alla natura umana), di contro, il termine “pace” in greco stava a significare “tregua” e che, quindi, è pressoché impossibile anelare ad essa – o almeno, se la si intende come cessazione definitiva di tutti i conflitti – perché la pace per sua natura, non dura.
Ora, mi sono soffermata su queste tre parole estrapolate dal Dizionario politico minimo per illustrare quanto il significato, intenzionalmente o inconsapevolmente, viene travisato se non addirittura cambiato. Oggi le parole vengono utilizzate in maniera scorretta, subdola, sbagliata e svuotate di senso come panni stesi messi ad asciugare al sole, si parla senza conoscere i temi da affrontare, senza ascoltare, senza dar peso a ciò che si dice, senza analizzare il discorso. Siamo sommersi dalla retorica, dalla ridondanza, dal superficiale e, aspetto ancor più drammatico, manco ce ne accorgiamo. Si parla (si parla, no si discute perché il discorso si compone di una dialettica) solo per fare scena, per fare spettacolo, per conquistare applausi, followers, adepti… in sintesi: “apri la bocca e dai fiato”.
Un’ultima riflessione prima di chiudere. In pochi avranno notato che la prima parola che ho scelto, tra le cinquanta voci che compongono il saggio, è “democrazia”. C’è un passaggio del libro che mi ha solleticato un pensiero, fino a diventare prurito: fermo restando che non esiste nessuna democrazia in quanto a comandare sono le élite (minoranze organizzate che possono tenere in scacco e guidare gli altri), non c’è scritto da nessuna parte che la maggioranza in quanto tale abbia ragione, ovvero, per dirla con le parole di Luciano Canfora “il fatto di essere molti a pensare la stessa cosa non dimostra che sia giusta”.
L’immagine appresso dimostra quanto sia vero l’assunto.
Post scriptum: si prega di dare un occhio all’avverbio democraticamente.
Credits: l’illustrazione è di Luciano De Crescenzo, dal libro Luciano De Crescenzo disegnatore, catalogo della mostra al Nilo Museum Shop, Enciclopius Edizioni 2015