Charlie Brown
"Solo gli imbecilli non hanno dubbi"
"Ne sei sicuro ?"
"Non ho alcun dubbio!"
(Luciano De Crescenzo)
Famiglia di Tommaso Medugno ²
Non è facile dirvi quanto sto per dirvi. No, non è per niente facile.
Ho scoperto di avere una malattia, grave, e a quanto pare anche cronica e non curabile.
Ho la prosopagnosia¹.
Le prime avvisaglie le ho avute un anno fa, mese più mese meno. Un piccolo disturbo ma, proprio perché era un disturbo, mi ha dato molto fastidio perché ha dis-turbato la mia giornata (dal latino disturbare, composto dal prefisso dis e dal verbo turbare: disperdere. Disperdere, sempre dal latino: disperdo, disperdis, disperdĭdi, dispersum, disperdĕre: dissipare, mandare in rovina).
Nonostante la cosa mi stesse scombussolando, decisi comunque di non darle peso. Una reazione comune a tutte le malattie, uno status psicologico che serve da scudo ad ognuno di noi: cancellare il male, far finta di non vederlo o di non sentirlo per scongiurare il rischio che prenda il sopravvento sulla paura (una banale difesa per esorcizzarla).
Accade poi che “il fattaccio” si ripresenta, e a quel punto comincio ad essere assalita dai dubbi.
Per dovere di completezza aggiungo che soffro di un’altra malattia – forse pure peggiore della prima – che è “la giustifica”, cioè la tendenza a giustificare sempre e nonostante tutto chi ho dall’altra parte.
Dove vuoi arrivare? Domanda che vi starete ponendo.
Ora ve lo dico, ci proverò, è molto complesso come discorso e non vi piacerà.
Molti di voi ricorderanno la querelle che c’era stata riguardo alla nomina di Luca De Fusco come Direttore della Fondazione Teatro di Roma che amministra e gestisce quattro tra i più importanti teatri della Capitale: il Teatro Argentina, il Teatro India, Il Teatro Torlonia e il Teatro Valle “Franca Valeri”. A suo tempo, questa nomina avvenne in maniera non proprio regolare per via – come ormai succede spesso, purtroppo, in tutte le questioni – di un’ingerenza dell’attuale Governo che spingeva per il nome di De Fusco su una rosa di 40 candidati a copertura del ruolo.
Senza entrare troppo nel merito (altrimenti ci dilungheremmo su un discorso prettamente politico perché, in sostanza, fu questo il nocciolo dello “scontro”, ridurre il tutto ad una questione politica perdendo di vista quello che era ed è il tema fondamentale, ossia continuare a garantire l’esistenza e la possibilità da parte dell’utenza di usufruire del più grosso polo culturale ed intellettuale della città) il punto fu questo: la nomina di De Fusco avvenne scavalcando decisioni e figure che nel CDA erano necessarie per la sua approvazione.
Di fronte a questa situazione scorretta un folto numero di attori, giornalisti, registi, uffici stampa, scrittori, di orientamento politico opposto al Governo, insorsero con lettere, proteste, petizioni e sit-in davanti al Teatro Argentina. Tra questi artisti c’erano persone che il pubblico conosce e che, nel corso degli anni, ha imparato ad apprezzarne le doti. Il talento, però, non è l’unico aspetto per cui vengono apprezzati e seguiti; vengono apprezzati anche per il loro modo di essere, di pensare, di porsi e di dire determinate cose.
Se a me piace un artista è perché con quell’artista mi trovo a condividere molto del suo modo di pensare, e perché trovo che con me ha molte affinità quasi come se fosse il mio specchio. Non è un caso quando, infatti, ci troviamo a parlare con qualcuno e gli diciamo: «Mi piace il tuo modo di vedere le cose perché rispecchia molto quanto penso sull’argomento», ragion per cui abbiamo anche piacere a frequentarlo.
Gli artisti – e quando dico “artisti” la definizione è da ritenersi estensiva che comprende attori, scrittori, cantanti, presentatori, comici, ballerini, registi, sceneggiatori, autori, compositori, eccetera – sono persone. E con le persone, anche quando non vuoi, si arriva a un punto di rottura. Soprattutto quando vieni preso in giro.
Poco prima accennavo dicendo che questo sarebbe stato un discorso molto complesso, specialmente non gradevole perché, disquisendo sul tema, dobbiamo prendere in considerazione una componente oggettiva e una componente soggettiva.
La componente oggettiva tira in ballo due aspetti essenziali che, ad avviso di chi scrive, sono di elevata importanza nella sfera di un individuo e nelle sue relazioni sociali: verità e coerenza.
La componente soggettiva assume connotati più dolorosi perché va ad incidere nella sfera più intima, più empatica e più sensibile della persona, che è la parte emotiva. Per componente soggettiva non mi riferisco solo alla sensibilità dell’utente, ma anche alla sensibilità del suo beniamino che si trova ad avere una grossa responsabilità nei suoi confronti e a metterci la faccia in tutto quello che fa e che dice.
Poco gradevole perché la verità non piace a nessuno. Tutti la pretendiamo, tutti la inneggiamo tanto quanto, al contrario, tutti la scansano e se l’acquattano, come se dice a Roma (perdonate lo slang ma vi parlo come si parla a un amico senza giri di parole, più comunemente conosciuta come la lingua del parla come magni).
E veniamo al cuore dell’argomento.
Superato, alla bell’e meglio, il patatrac della nomina di De Fusco – per chi non lo sapesse comunque, dunque e dovunque, è lui che dirige la Fondazione Teatro di Roma – un bel giorno mi alzo, prendo il caffè, scorro le notizie dell’ultim’ora e do un’occhiata alla stagione teatrale 2024/2025 del Teatro di Roma. Cosa scopro secondo voi?
Che una delle firme dei dissenzienti alla nomina di De Fusco al ruolo di direttore è in cartellone.
Immaginate il mio stupore. La sorpresa (dell’ovetto kinder) è tanto brutta in quanto avevo una grande considerazione, nonché una grande ammirazione, per l’artista (che ho stolkerato per tutti i teatri d’Italia).
Occhio: in questo caso è un personaggio dello spettacolo ma queste “belle sorprese”, come dicevo poc’anzi, mi sono capitate e continuano a capitarmi con tantissimi altri artisti appartenenti ad altre categorie, tanto da crearmi una frattura grossa quanto villa Arcore, villa Briatore, villa Clooney, villa Pitt, villa Stallone e villa Totti tutte messe assieme.
È solo un esempio – o un dettaglio – ve ne potrei citare altri. Ma c’è un problema: non mi piace parlare male delle persone, non mi piace parlare male degli assenti (oddio, assenti… state tutto il giorno a chatta’ sui social, poi me lo spiegate come funzionano ‘sti aggeggi perché io non l’ho ancora capito), non mi piace parlar male delle persone in cui credo. Non mi piace parlare male del vicino, perché quel vicino potrei essere io.
Ok, sono imperfetta. Ho sbagliato. Ma nessuno dice: “Ho sbagliato”. Vorrei sentirlo dire ogni tanto, come lo dico io: «ho sbagliato».
Vorrei smettere di vedervi andare in giro per programmi, eventi, concerti, manifestazioni, festival, social (pe’ fratte, pure pe’ fratte perché c’annate pe’ fratte, e pure pe’ frappe perché bisogna pur nutrirsi), premi, conferenze stampa, congressi, università, cartelloni, talk show, meme show, fiere, per sentirvi dire quanto siete bravi, quanto siete belli, quanto siete boni, quanto siete grandi.
Vorrei che la smetteste di usare belle parole solo per magnificare il vostro ego, e che faceste qualcosa di più concreto, qualcosa che si vede, che dà valore, che dà vita, che dà senso a ciò che fate.
Vanno bene i concerti di beneficenza (dove finisce poi tutto il denaro raccolto resterà il Mister assoluto dei misteri), ma che non si fermi qui il vostro operato, vanno bene le manifestazioni in piazza per la lotta alla parità di genere, per dire stop al femminicidio, per dire no al precariato, per il riconoscimento del diritto all’eutanasia, all’aborto, alla sicurezza, alla salute… va bene anche parlare per sensibilizzare l’opinione pubblica, ma il pensiero non si deve fermare alla parola altrimenti sono solo belle parole e basta, che servono come maschere per ingannare la gente e passare per persone fighe e perbene.
Da diversi mesi il nostro Paese è preda delle alluvioni per le violenti piogge. Invece di riempirvi le bocche con frasi a sostegno della solidarietà sui social e sui media, perché non andate a dare una mano alla povera gente a spalare il fango con le pale, i secchi, le sacche? Perché non vi recate nelle periferie delle città, nelle carceri, nei centri di recupero, per ascoltare le storie degli adolescenti e delle famiglie difficili e cercare di trovare insieme una soluzione per attenuare il problema della criminalità? Perché quando c’è da testimoniare un torto, salvare un canile, aiutare dando davvero da mangiare a un indigente vi voltate dall’altra parte? Perché non vi sporcate?
C’è un editore, un giovane editore, che è anche scrittore. Si chiama Nicola Pesce. La sua pagina Facebook conta più di 230mila followers (toh, visto che vi piacciono così tanto i social vi do un po’ di numeri, numeri buoni). È una delle esigue persone che merita veramente di essere seguito.
Lui non parla soltanto. Lui fa. Lui crede e si impegna in quello che fa. Caccia fuori i soldi di tasca sua, non li rincorre, non è interessato al denaro. Non è interessato alla fama. Non si concentra su se stesso. È aperto al mondo, alla natura, agli animali. Coltiva gentilezza, cura e attenzioni. Ascolta. Dà importanza alle persone perché vuol bene e ci tiene alle persone. Le rispetta.
Sono dettagli, ma i dettagli dicono molto di chi ci sta di fronte. I dettagli contano tantissimo perché sono gli unici strumenti che dicono la verità. Può essere un tono di voce, un’espressione del volto, un gesto, un colore, una frase, una parola.
Prestate
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Ai
Dettagli.
Non sempre vanno di pari passo con la forma.
Non sono nessuno per dirvi come dovete comportarvi, e chiedo umilmente perdono a chi si è sentito chiamato in causa per essere stato “oggetto” di biasimo. Ho usato parole dure, me ne dispiaccio. Conosco il loro peso e la loro forza, so quanto possano far male.
Resta il fatto che se, casomai, dovesse capitare di incontrarci e non vi riconosco non è perché sono diventata pazza (quello è normale) o tutt’a un tratto maleducata. Sono malata, sono molto malata.
Ho la prosopagnosia.
¹Prosopagnosia, dal greco: πρόσωπον (“prosopon” faccia) e ἀγνωσία (agnosìa, non conoscenza, ignoranza)
² La foto a corredo compare sulla copertina del libro di Raymond Carver, Da dove sto chiamando e altri racconti edito da Minimumfax, edizione 2003.
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Il ragazzo dai pantaloni rosa prende spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto nel 2012 nei confronti del quindicenne Andrea Spezzacatena: l’adolescente fu bullizzato dai suoi compagni di classe, i quali crearono una pagina Facebook - intitolata per l’appunto “Il ragazzo dai pantaloni rosa” - dove si divertivano a prenderlo in giro a causa di un paio di calzoni che un giorno Andrea indossò per recarsi a scuola.
Il film è diretto da Margherita Ferri e ha come protagonisti Samuele Carrino (Andrea) e Claudia Pandolfi (Teresa Manes, la madre del ragazzo).
La storia di Andrea è raccontata in prima persona, dal giorno della sua nascita alla tragica fine, avvenuta in maniera prematura e non premeditata. continua a leggere
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